“Il Suicidio Dei Samurai” compie vent’anni e, quindi, per l’occasione viene rimasterizzato e ripubblicato. Un disco imprescindibile per il rock italiano e non solo; uno struggente, spigoloso, coraggioso e romantico inno post-grunge che i Verdena, all’epoca, decisero di produrre in casa. E, infatti, l’album ha un suono viscerale e introspettivo, un suono che contrappone al relativismo nichilista che, proprio in quegli anni, iniziava a far sentire il suo peso estenuante ed alienante, un accattivante intreccio di rabbia, amore, tristezza, distorsioni, melodia e psichedelia.
Non siamo angeli, ma neppure demoni, siamo creature fragili, inquiete ed insofferenti, che hanno bisogno le une delle altre, che hanno bisogno di comunicare e di parlarsi, di toccarsi e di sentirsi, se non vogliono sprofondare in un pericoloso ed anormale abisso di odio, di follia e di crudeltà. I brani del disco – “Luna”, “Mina”, “Phantastica”, “Elefante”, “Glamodrama” – danno via a una tavolozza sonora di diversi colori, ciascuno di essi rappresenta, in maniera perfetta, i nostri possibili stati d’animo, i quali si intrecciano, coesistono e condividono i medesimi istanti, le stesse esperienze, gli stessi luoghi, gli stessi ricordi. Singolarità che ci esaltano e ci offendono, che ci cercano e ci abbandonano, che ci curano e ci stritolano in abbracci che possono essere molto dolorosi, molto più dolorosi di qualsiasi conflitto.
I Verdena, all’epoca, con questo disco, guardavano oltre il tramonto delle band grunge più famose, vagavano in un deserto di suoni acidi, alieni e spaziali, che, mentre il nostro paese continuava a celebrare i suoi stucchevoli riti festivalieri, i suoi antichi e capricciosi padroni e le sue morbose contrapposizioni novecentesche, esprimevano il terribile vuoto di una società che, dopo l’11 Settembre del 2001, aveva compreso che sicurezza, pace, benessere, libertà e democrazia non erano altro che delle parole fantasma, un modo per controllare, manipolare e tenere una parte del mondo in catene e, contemporaneamente, umiliare, sfruttare e fare la guerra alla parte rimanente.
Le sonorità allucinate, irregolari e malinconiche di questi pezzi sono la rappresentazione musicale di quel clima post-apocalittico; la disillusione ci stava rendendo sempre più ostili, cattivi e diffidenti, rendendoci impossibile qualsiasi forma di compromesso e di conciliazione con le ideologie dei decenni precedenti, ma trasformando, invece, ogni teoria, ogni progetto, ogni processo e anche qualsiasi passione, in qualcosa di estremamente transitorio, momentaneo, relativo, fugace, effimero e passeggero. Ma, nel frattempo, però, le persone comuni continuavano a fare i conti con le medesime difficoltà quotidiane, ad odiare ed amare, a ubbidire e sopportare, ad indebolirsi, ad ammalarsi ed, infine, a morire, tentando invano di trovare la preziosa roccia cui aggrapparsi, l’argine sicuro dietro cui ripararsi, l’alba luminosa cui affidare quei sogni, quei pochissimi sogni, che erano riusciti, con fatica e sacrificio, a nascondere e a non farsi portare via.
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