Abbiamo gli occhi, ma non li usiamo per vedere, preferiamo vivere nell’oscurità di tutte quelle promesse che sappiamo non manterremo mai, non perché non possiamo farlo o perché ci mancano i mezzi, ma, semplicemente, perché non abbiamo alcuna voglia di sacrificarci, di rinunciare, anche in minima parte, a quelle risorse, a quei beni e a quelle ricchezze che siamo convinti ci appartengano di diritto. E se, un tempo, siamo stati gli esuli, gli emarginati, gli emigranti, i dispersi, i fuggiaschi, i fuggitivi da una terra di morte e di distruzione, di malattia e di povertà, di fame e di miseria, adesso, vogliamo essere i padroni, vogliamo masticare e sputare, vogliamo prendere e poi gettare via.
Quando la terra viene depredata, violentata, umiliata e sfruttata non rimane che un vuoto profondo, un vuoto dal quale possono germogliare i fiori amari della rabbia, della vendetta, dell’intolleranza e dell’odio, ma anche poesie addolorate, malinconiche e sofferenti; le poesie che Cesare Basile mette in musica, congiungendo, idealmente, secoli lontani tra loro e collegando, da un punto di vista fantastico e sonoro, la Sicilia saracena con quella Palestina alla quale viene negato il diritto di esistere come patria libera, come nazione indipendente, come casa pacifica e sicura.
Le atmosfere dell’album, mediterranee e folkeggianti, intrise di tradizione, cultura e storia siciliana, si dipingono di cupa e vibrante drammaticità, toccando con mano le tante diaspore, le troppe divisioni, gli innumerevoli deportati, la miriade di profughi, che hanno caratterizzato e continuano a caratterizzare la storia umana. Ferite che non rimarginano, ma che continuano a narrare, con il loro toccante, vibrante e pulsante linguaggio blues, tutti i nomi che sono stati frettolosamente dimenticati, tutte le esistenze che sono state brutalmente spezzate, tutti i torti, le colpe e i delitti che sono stati sistematicamente taciuti, qualche volta per paura di una possibile ritorsione, ma, il più delle volte, perché era più conveniente, più comodo e più utile avere degli amici potenti, degli amici ricchi, degli amici armati di tutto punto, piuttosto che continuare a vivere in un’illusione che i più sprovveduti chiamano verità.
Un disco forte, significativo ed incisivo che raggiunge i suoi apici più suggestivi e universali, amplificando denuncia e memoria, dolore e speranza, resistenza ed umanità, soprattutto, quando viene presentato e suonato dal vivo, riuscendo, puntualmente, a raccordarsi e sintonizzarsi con quelli che sono i fatti e gli eventi del momento, nonché con tutti i veri despoti ed i finti eroi che, da millenni, si ergono, l’uno dopo l’altro, all’orizzonte di una terra negata che, invece, andrebbe solamente trattata con giustizia, riconosciuta e resa, finalmente, libera.
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