La serie-tv di Joe Wright, basata sul romanzo (il primo della trilogia) di Antonio Scurati, è ambientata negli anni successivi al primo conflitto mondiale, in un’Italia fragile e disillusa, e ci mostra, in maniera schietta e veritiera, quella che fu la nascita del fascismo. Infatti, tra sordidi compromessi, improvvisi e gratuiti lampi di violenza, comportamenti furtivi, squallide menzogne, bieco opportunismo, vigliaccheria, presunzione e una certa goffaggine (ci sarebbe da ridere dinanzi a tutto questo, se non ci fosse, purtroppo, da piangere lacrime assai amare!), assistiamo all’ascesa di Benito Mussolini, il quale, da direttore di un giornalaccio, scritto con l’odio e con la rabbia, arriva ad impadronirsi di un intera nazione.
E tutto accade, a dispetto di quanti, ancora oggi, sono convinti del contrario, senza alcun atto di audacia o di eroismo. Quello che vediamo sui nostri schermi è, semplicemente, un branco di cani incattiviti ed affamati, il cui capo-branco non fa altro che risvegliare i loro istinti più bestiali e volgari, sfruttando le condizioni precarie di un paese profondamente diviso, in balia di una élite minoritaria di ottimati che non ha alcuna intenzione di perdere il proprio potere, la propria influenza, le proprie rendite, i propri titoli e le proprie ricchezze.
Ciò a cui assistiamo è qualcosa di sporco, di brutto, di ostile, di cattivo, di abietto e di malvagio. E queste immagini oscure ed assurde – accompagnate, in maniera perfetta, dalla splendida colonna sonora di Tom Rowlands, dalle sue trame e sfumature elettroniche cupe, crude, essenziali e minimali – fanno a botte con le ridondanti e sovrabbondanti parole di Mussolini e dei suoi accoliti, di questi aberranti e paradossali architetti della patria, i quali, avvinghiandosi, con le zanne e le unghie, con i manganelli e l’olio di ricino, con le camice nere e il saluto romano, agli ideali e ai simboli del movimento futurista, fanno proprie, riempiendole, però, di tronfia, supponente ed arrogante retorica, parole luminose e cariche di speranza, quali “temerità”, “energia”, “audacia” o “ribellione”.
Una furente e degenerata demenza collettiva che un magistrale Luca Marinelli, nel ruolo di Benito Mussolini, mostra in maniera eccellente, rivelandoci quanto, invece, nella realtà dei fatti e degli eventi, dei personaggi e delle azioni, quelle parole, nonché gli intenti e le promesse del Fascismo, furono solamente pericolose bolle. Bolle che, ben presto, si sarebbero gonfiate di autoritarismo e di violenza, di stoltezza e di disumanità, di ingiustizia e di morte. Non prima, purtroppo, di soggiogare, sottomettere e assoggettare un popolo. Gli Italiani, in gran parte, sarebbero finiti nelle fauci del potere, tragico e seducente, dell’idolatria e del nazionalismo, assecondando le risonanti e provocatorie bugie di un maniaco squilibrato; bugie che, in un ventennio, ci avrebbero condotti nel baratro della dittatura, della tirannide, del dispotismo, della guerra e delle leggi razziali.
Questa serie-tv, quindi, come già aveva abilmente fatto il libro di Antonio Scurati, va ben al di là dei confini del semplice intrattenimento mediatico e si trasforma in un promemoria eterno, in una lezione che non dovremmo mai dimenticare, perché il passato non è solamente narrazione lontana, remota, aliena ed estranea. Il passato, con i suoi fantasmi e le sue ombre, con i suoi mostri e i suoi incubi, può ritornare in qualsiasi momento. Ed oggi, più che mai, con un mondo divorato dalle fiamme, con criminali che invadono, ammazzano e provocano genocidi, noi non possiamo distogliere l’attenzione. Non possiamo distogliere l’attenzione. Non bisognava farlo allora e non bisogna farlo adesso, scrollando le spalle o mettendosi a ridere quando un neo-eletto presidente americano, circondato da una manciata di uomini che, da soli, rappresentano un patrimonio di 25000 miliardi di dollari, vaneggia di muri e di divieti, di paesi da occupare e nomi da cambiare, riportando, nel frattempo, indietro le lancette dell’evoluzione umana e proponendosi come voce di Dio, della patria e della famiglia.
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