Nel momento in cui stiamo scrivendo questo articolo, uno dei concerti più attesi, la prossima estate, qui in Italia, è, senza alcun dubbio, quello che segna il sospirato ritorno del rock industriale ed elettronico dei Nine Inch Nails nel belpaese. Per un PIT-1, l’area più prossima al palco, all’Arena della Musica di Segrate, ci aggiriamo attorno ai 109 euro più, ovviamente, le odiose, eccessive e antipatiche commissioni.
Ma diciamolo immediatamente, senza troppi, artificiosi e inutili giri di parole, se non sei riuscito a procurarti un accesso per quest’area, allora, molto probabilmente, faresti meglio a restartene a casa e a risparmiare i tuoi soldi. Questi grandi eventi, infatti, se non riesci a viverli nell’agognato PIT, non sono assolutamente delle esperienze indimenticabili, ma si trasformano in un vero e proprio calvario.
Ai prezzi che sappiamo essere ovunque elevati, quindi, al di fuori dell’inafferrabile PIT, vanno aggiunte problematiche ulteriori, come la visibilità scarsa e l’audio non sempre eccezionale, che ledono e pregiudicano la godibilità e la sostenibilità dell’evento, facendo sì che la gioia diventi, immediatamente, frustrazione. Spesso, in passato, su queste pagine, abbiamo sollevato più di un dubbio e una perplessità sulle modalità con le quali i titoli di accesso alle aree a visibilità ottimale sono gestiti. Tornando, ad esempio, all’evento sopra citato, ovvero al concerto milanese dei NiN, unica tappa del loro tour in Italia, si è passati, in un istante, dalle ore 11:59:59, nel quale le vendite erano ancora chiuse, all’istante successivo, alle ore 12:00:00, nelle quali esse erano aperte, ma i biglietti per l’area denominata come PIT-1 erano già indisponibili, perché, in pratica, esauriti. Per quanto ci riguarda, dunque, le domande che facciamo e che continueremo, instancabilmente, a fare sono sempre le medesime e riguardano la trasparenza, la giustezza, la chiarezza e la correttezza delle modalità e delle procedure di gestione di queste aree privilegiate e dei relativi titoli di accesso.
Quanti sono, evento per evento, i biglietti che vengono messi a disposizione dei semplici appassionati e quanti, invece, vengono gestiti in altro modo?
Sappiamo benissimo, purtroppo, che, soprattutto qui in Italia, in tanti, troppi cercano il proprio santo in Paradiso, ossia qualcuno che li protegga, qualcuno al quale rivolgersi e, ahinoi, raccomandarsi.
A questo scenario sfavorevole ed oscuro vanno, inoltre, spesso, aggiunte altre pratiche sconvenienti, scorrette e predatorie; ci riferiamo, in particolare, al così detto “prezzo dinamico” dei biglietti e agli odiatissimi “token”, che, nonostante l’era digitale sia ormai una realtà e nonostante l’utilizzo massivo di strumenti di pagamento elettronico, restano, ancora, ingannevolmente, sfacciatamente e viscidamente, in uso. Hanno davvero la faccia come il culo, canterebbero, a proposito, gli Offlaga Disco Pax.
A questo punto, onestamente, è giunto il caso di rivedere le nostre priorità, di scegliere di non piegarsi più a queste logiche inique e corsare, ma optare per l’alternativa offerta dagli spazi più intimi e dai festival più piccoli, quelli che sfuggono ancora, per nostra fortuna, a Live Nation o alla nostrana D’Alessandro & Galli; spazi d’espressione, rifugi emotivi e “covi” nei quali siamo ancora considerati e trattati come esseri umani; spazi nei quali non esistono pit, tribune, token, cazzi e mazzi vari con i quali raggirare, ingannare e imbrogliare gli appassionati e gli amanti della musica; spazi nei quali si possa ancora godere di un’esperienza, umanamente e artisticamente, di un certo spessore e una certa profondità. Di “covi” cosi ce ne vorrebbe uno in ogni città, paese e quartiere di questa nostra povera, abusata e schiacciata patria.
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