In un’epoca sonora distante, quando il nuovo millennio era ancora indefinito e stupefacente, almeno per quelli che, tra noi, erano ancora ignari e distanti da certi meccanismi di ingerenza e di potere, che poi sono diventati sempre più palesi, manifesti e evidenti, nonché talmente arroganti e prepotenti da non sentire più nemmeno il bisogno di nascondersi e di mimetizzarsi, i Wilco pubblicavano un disco che mostrava tutti i nostri intrecci nervosi e sentimentali, confondendo i cuori e le menti e aprendoci le porte di un mondo di trame sonore uniche e di visioni emotive preziose.
Un mondo che mescolava, in maniera liberatoria e audace, rock sperimentale e rock etereo, atmosfere alternative-country e trame blueseggianti, senza timore di invadere i territori più acidi e più elettrici, ma, allo stesso tempo, senza perdere la connessione della band con quelli più poetici e dylaniani.
Un uovo magico dal quale i Wilco avrebbero fatto schiudere un suono contemporaneo ed avvincente, capace di essere, allo stesso tempo, ballata pop, ricerca psichedelica, divagazione avanguardista, tradizione folk, nonché luce ed ombra delle nostre anime inquiete. Un album, nel quale la temporaneità umana riflette ed influenza le nostre scelte, i nostri comportamenti e le nostre azioni in una maniera costruttiva e positiva, tentando, di conseguenza, di portarci sempre verso il bene comune, mentre, invece, oggi, avendo dimenticato ciò che siamo davvero, ci siamo convinti di un’immortalità che non esiste, abbiamo cancellato ogni debolezza, ogni forma di fragilità, ogni malattia, ogni incertezza, ogni difetto, sicuri, stupidamente, di poter controllare qualsiasi aspetto delle nostre esistenze e di poter vincere persino la morte.
In “A Ghost Is Born”, invece, sentiamo e percepiamo la nostra spiritualità sintonizzarsi con l’essenza più reale e veritiera delle nostre vite, con l’amore e con l’amicizia, con la passione e con il desiderio, con il dolore e con lo sconforto, con tutti quei sentimenti che non dovremmo mai abbandonare o dimenticare, dinanzi a nessun pericolo, a nessuna tempesta, a nessun trauma, a nessuna apocalisse, perché è proprio in questi sentimenti, più o meno bui, più o meno lucenti, che si racchiude la nostra umanità. Un disco, dunque, che possiamo ritenere un solido punto di arrivo, ma che, grazie alla sua imprevedibilità sonora, resta vivido e pulsante nella nostra immaginazione, facendo sì che i suoi groove siano in perenne espansione, desiderosi di abbracciare e di confrontarsi con ogni nuova scena musicale, con ogni nostra riflessione, con la nostra memoria, con ogni amara catena riusciamo, assieme, finalmente, a spezzare, restando, perennemente, in bilico tra pop e rock, tra progresso e consuetudine, tra bisogni individuali e necessità collettive, evocando immagini, riflessioni, domande e fantasie sia dentro, che fuori, perché, in fondo, ciascuno di noi è il narratore e ciascuno di noi è l’ascoltatore.
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