Il terzo disco dei God Of The Basement è intriso di spigolosa e cupa ruvidezza, spoken-word, crudo tribalismo e alternative-rock, nonché di una incalzante, viscerale e ossessiva necessità di verità; di quella verità che, sempre più spesso, viene intossicata e negata, innacquata e resa irraggiungibile, così da costringerci a vivere in un mondo artificiale e, soprattutto, in un presente desensibilizzato, nel quale siamo tutti perfetti, tutti belli, tutti buoni, tutti giovani, tutti sani, tutti liberi, tutti felici.
Queste nove canzoni, invece, rompono le finte promesse della società dei consumi, scelgono la direzione coraggiosa del delirio e della notte; la direzione caustica, corrosiva, ustionante e punkeggiante dei loro profondi bassi, delle bolge periferiche e metropolitane nei quali veniamo marginalizzati ed estromessi, delle parole che si trasformano in lame taglienti, di tutti i difetti, le brutalità, le atrocità, le dannate miserie e le piccole e grandi violenze che fanno parte della nostra quotidianità tecnologica, mediatica, caotica e cloroformizzata.
Abbiamo dimenticato ogni storia, abbiamo cancellato l’umanità e le sue salvifiche imperfezioni, nascondendoci in uno statico e infinito purgatorio, in una sera del cazzo nella quale poter seppellire qualsiasi rimorso, qualsiasi imbarazzo, qualsiasi vergogna e qualsiasi emozione. Groove e vibrazioni che la band fiorentina riscopre, rielabora, rivitalizza e riporta in superficie, rendendoci certamente più nervosi, ma anche, finalmente, più lucidi e più consapevoli, mentre ritmiche di matrice dub ed hip-hop, che hanno il sapore innocente e romantico degli anni Novanta, ci restituiscono la voglia di scegliere e di fare diversamente, di abbracciare sonorità ed esistenze oblique, di lasciare che siano i nomi e le essenze originali delle cose, senza alcuna inutile sovrastruttura politica, a prendere il sopravvento, anche quando essi ci conducono ad “Agata Della Pietà”, a quella che è una cantilena finale, indocile, penetrante e crepuscolare, una cantilena che ci sprona a guardarci dentro, a chiederci in cosa crediamo veramente, ad indagare sul nostro rapporto con gli altri, con le forze spirituali, misteriose ed invisibili del Creato, nonché con le ingerenze elettroniche e digitali che infestano e invadono l’io visibile e quello invisibile. Siamo ancora noi stessi?
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