Belfast, post-punk, trame ruvide e scontrose, nonché una viscerale e determinata propensione per i groove soffocanti e claustrofobici, in naturale e maniacale continuità con quelli che sono gli opprimenti ritmi quotidiani delle nostre scabre esistenze. Gli ingredienti, dunque, ci sono tutti, non ci resta che lasciarci trasportare dai bassi erranti e dai volubili colpi di batteria e, forse, al termine di questo breve viaggio sonoro, ritroveremo la spensieratezza che avevamo dimenticato.
I sette minuti di “Notice Me”, intanto, ci permettono, finalmente, di respirare a pieni polmoni, anche se l’aria è quella rovente dell’inferno del noise-rock, ma ne avevamo assolutamente bisogno per spezzare le tristi e disagiate consuetudini nelle quali affondano le nostre anime tormentate.
Anime di seconda mano, anime da discount grunge, anime gettate in una discarica, come se fossero qualcosa che può provocare e produrre solamente imbarazzo, malessere, fastidi, rovinose cadute e seccature d’ogni tipo. Ma le sonorità incalzanti, rudi, brutali e spietate dell’ultimo pezzo dell’EP, “Bedwetter”, ci rammentano, in maniera consapevole, concisa e veemente, che non possiamo gettare via alcunché: nessuna emozione, nessun sentimento, nessun ricordo, nessun sogno e nemmeno gli incubi che ci danno la caccia ogni notte. Perché sarebbe, esattamente, come gettare via noi stessi, quindi se non vogliamo finire per cancellare ciò che siamo, i Makeshift Art Bar ci suggeriscono di indossare la loro musica instabile, traballante, mutevole, dissonate e disordinata. E ci ritroveremo, così, ad aver indossato, in fondo, quella che è la vita vera, la vita reale, la vita che non puoi ridurre ad una piattaforma digitale o alle righe di codice di un algoritmo o alle elaborazioni, per quanto sofisticate, eseguite da una intelligenza artificiale.
Comments are closed.