“Tagli” è un dolce e riflessivo brano strumentale, il quale apre le porte ad una struggente, veloce e veemente tempesta sonora, una tempesta che sferza il nostro contraddittorio e rabbioso presente, le sue inconfutabili ed incontestabili verità, e guarda, allo stesso tempo, con una certa pressante, vibrante ed incalzante malinconia, alle rumorose e liberatorie sonorità hardcore che hanno scandito il tempo tra i due millenni, prima che le fauci dell’unico, bellicoso, ingiusto e sanguinario vangelo si chiudessero su quello che ancora restava di questo nostro mondo, delle nostre città, delle nostre speranze e delle nostre esistenze.
Gli Stormo ruggiscono, di conseguenza, le loro crude dosi di bruciante passione sonora, arrivando, all’improvviso, alla sognante, irreale, introspettiva ed onirica dimensione di “Talee”, un brano che ci tocca dentro, un brano che ci rammenta tutti i luoghi, tutte le scelte, tutti i ricordi, i pensieri, le parole, le promesse, i simboli e le narrazioni alle quali non apparteniamo più, non perché non lo volessimo, ma perché qualcosa di più forte, qualcosa di più abietto, di più abominevole, di più ostile, di più compromettente e di più brutale ci ha strappato via, obbligandoci a varcare i bordi della nostra umanità, delle nostre debolezze e delle nostre fragilità.
Un disco che è radicato, dunque, in epoche sonore diverse, ma che è ispirato, profondamente, dall’attualità tumultuosa della nostra epoca, dal caos babelico nel quale lottiamo e ci disprezziamo, nonché dal disordine come unica, sofferta, possibile misura delle nostre precarie, fasulle, iper-tecnologiche e virtuali esistenze. Stiamo pericolosamente regredendo, è questo quello che la band italiana tenta di trasmetterci con le molteplici asperità, la grezza ruvidità e la rumorosità sferzante della sua musica, in un miscuglio eterogeneo ed appassionante di elementi mathcore e metallici, hardcore e noise-rock, mentre, nel frattempo, ogni cosa viene piegata ad una visione distorta, cattiva, arrogante, prepotente e crudele dei rapporti e delle relazioni sociali: un solo monolitico, mortale e perverso paesaggio che irretisce i corpi e le menti, dove, dietro una finta e apparente urgenza, si nascondono, in realtà, quelle mura che, da sempre, da secoli, ci tengono prigionieri di una realtà perennemente precaria, temporanea, conflittuale e competitiva, affinché altri, ben protetti e occultati, possano sfruttare e godere delle nostre lacrime, delle nostre fatiche e del nostro sudore.
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