“Birthmarks” è un album dalle trame oscure, sincopate, meditative e malinconiche, perfetto per accompagnare una narrazione notturna, misteriosa, thrilling e noir, tra pericolosi e fumosi bar di periferia e le stanze scarne di pessimi motel, mentre, tutt’attorno, la città si risveglia dal tossico e narcotizzante torpore solare, ruggisce la sua rabbiosa frustrazione e si trasforma nello scenario perfetto per un film di David Lynch.
Trame dark e punkeggianti si intrecciano, intanto, tra loro, intersecando, continuamente, il loro percorso ritmico con storie oblique, spietate, folli, mortali e decadenti; storie piene di ritornelli grezzi, crudi e spigolosi, di bassi incalzanti, robusti e profondi e di improvvise divagazioni nella dimensione, elettronica, lisergica ed inquietante, di un presente alieno, un tempo estraniante, conflittuale e contorto, che assume, sempre più, la consistenza di un incubo surreale e ricorrente, di un cerchio perverso dal quale è impossibile evadere o fuggire.
Quest’album, dunque, è un lavoro che non va solamente ascoltato, ma va anche e soprattutto vissuto, in compagnia della notte, della notte che ama accompagnarsi a intense e febbricitanti luci al neon e all’odore accattivante della pioggia che bagna l’asfalto. Il mosaico sonoro che i Bambara costruiscono è cupo e ogni singolo brano è una finestra spalancata sulla metropoli dimenticata, sulle sue atmosfere dense e claustrofobiche, sui suoi beat carichi d’ansia, sulle suo sonorità scorticate, sulle sue ritmiche sotterranee e sui tanti, troppi dialoghi spezzati. Frasi che, forse, non sono altro che confessioni sussurrate, le quali, però, finiscono sul fondo di una bottiglia vuota o sullo schermo di un vecchio televisore, assieme a tutte le persone che conosciamo, a quelle che incontriamo ogni giorno, ai nostri amici, ai nostri familiari, ai nostri compagni, alle nostre compagne, a noi stessi.
Ma non importa più dove siamo adesso, perché nessuno ci sta guardando, siamo soli, siamo solamente un graffito su una parete di grigio e consumato cemento, in attesa di una nuova crepa, di una nuova ferita, di un altro graffio, di un’altra macchia, di un’altra sigaretta con cui attendere l’alba di Berlino o, forse, di New York.
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