Post-hardcore melodico, che tenta di fondere quelle che sono le trame vocali pulite, suadenti ed armoniose di Kat Moss con un approccio strumentale energico ed incisivo, che guarda alle sonorità decisamente più grezze ed aggressive della scena californiana degli anni Ottanta.
Ma, quel decennio, nonostante il suo valore concettuale, musicale e sociale, è, ormai, decisamente alle nostre spalle, le impellenze, le assurdità, le anomalie e le intemperanze del nostro cacofonico presente sono sul punto di esplodere, per cui agli Scrowl non resta, giustamente, che confrontarsi e rapportarsi con quella che è la bruciante, tossica e spesso morbosa materia prima della nostra pseudo-quotidianità. La conclusione, dunque, è quella di non potersi più rinchiudere in un bunker orgogliosamente ed egoisticamente punkeggiante, rifiutando qualsiasi connessione con l’esterno e le sue ipocrisie, con tutte le sue subdole contraddizioni, le sue violente fobie e i suoi ingiusti schemi di sopravvivenza, ma di utilizzare, invece, la leva dell’alternative-rock, più morbido, più armonico e più gradevole, per stabilire un punto di contatto, reale e veritiero, tra ciò che è stato e ciò che è, tra i vecchi e i nuovi fan, tra la nuda e incalzante irruenza del punk-rock primordiale e atmosfere sonore più sfumate, inquietanti e trepidanti di matrice post-grunge.
Ne viene fuori un lavoro intriso di appassionata malinconia, che mette in mostra la nostra necessaria e preziosa vulnerabilità, senza la quale, infatti, non potremmo mai essere definiti esseri umani, mentre i passaggi più urlati, più grintosi e più arrabbiati ci spronano a non restarcene, sommessamente, sullo sfondo della narrazione politica, economica e sociale, perché anche questa sarebbe auto-distruzione; più silenziosa, più educata e più composta, ma il risultato, tutto sommato, sarebbe, comunque, il medesimo ed ovvero la nostra estinzione. L’alternativa, allora, è far sì che tutti i nostri pensieri, le nostre idee, i nostri sentimenti e le nostre emozioni possano uscire fuori, evadere dalla prigionia del monologo interiore nel quali li abbiamo intrappolati ed essere parte di quel coro di persone normali che, ogni giorno, tentano di ricucire gli strappi imposti da questo modello mediatico di potere che premia, soprattutto, le divisioni, le distanze, le incomprensioni e le paure.
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