Tra le pieghe più fragorose dell’alternative-rock si nasconde una vena lirica che ha radici nella poesia di Walt Whitman, di Jack Kerouac e di Allen Ginsberg, tre autori distanti nel tempo, ma uniti da uno spirito autentico e ribelle, capace di lasciare un’impronta indelebile sul rock degli anni Ottanta e Novanta. Le loro parole hanno fornito lo slancio emotivo e politico a intere generazioni, contribuendo, parallelamente, a formare l’estetica sonora, visuale e immaginifica di band come i Sonic Youth o i Nirvana. Questa relazione tra musica e poesia ha agevolato e sostenuto il trionfo dell’epopea grunge, ma anche la sua drammatica disillusione.
Nel 1855 “Leaves Of Grass” di Walt Whitman diede le basi ad una nuova voce della letteratura americana, libera e corporea, vibrante e democratica ed i Sonic Youth, anni dopo, nel 1998, con l’album “A Thousand Leaves” omaggiarono il canto dell’individuo celebrato da Whitman, nonché la libertà di associazione e il suo verso fluido.
Nel 1957, con “On The Road” Jack Kerouac dà vita al suo inno dell’immediatezza e del desiderio di fuga, con uno stile assolutamente spontaneo e svincolato da qualsiasi formalismo: “the only people for me are the mad ones, mad to talk, mad to be saved“. Eccolo, dunque, l’impellente e folle bisogno di dire ogni cosa, di vivere a pieno la propria vita, prima che sia troppo tardi; un bisogno impellente che troviamo nei Nirvana, ma anche nei Mudhoney o nei primi album dei Pearl Jam.
“Howl”, nel 1956, è un liberatorio squarcio di modernità, Allen Ginsberg non censura nulla: droga, solitudine, sesso, alienazione, pazzia e spiritualità si fondono e si confondono in modo visionario. La sua poesia di carne ed allucinazioni era anche ritmo e, quindi, musica. I Sonic Youth dedicarono al poeta la loro “Hits Of Sunshine (For Allen Ginsberg)” un brano meditativo, crudo e psichedelico.
Alternative-rock e grunge, negli anni Novanta, hanno, quindi, incarnato l’anima di questi autori; la loro estetica minimale e tragica non si nutriva solamente di riverberi e di distorsioni, ma anche di versi poetici. Nei suoi diari, prima che il 1994 ponesse fine a ogni illusione, Kurt Cobain scriveva queste parole: “I like to feel strongly about things, and when I do, I don’t want to hide it. I write it down. That’s all I’ve ever done“. Eccola, dunque, è questa la voce del medesimo io profondo, immenso, vulnerabile ed utopico di Whitman, Kerouac e Ginsberg, le cui parole hanno ispirato quel rock capace di rappresentare e di dare consistenza sonora al senso di sradicamento di un’intera generazione, ma anche di andare oltre al grunge e scorrere, ancora oggi, nelle vene del noise-rock, dello shoegaze, del post-rock o dell’indie-rock più introspettivo. Nel rumore delle chitarre distorte, nei versi urlati o sussurrati, nelle ritmiche incalzanti e nei bassi profondi, ovunque sia possibile sentire l’eco di una corsa su una highway americana.
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